Figure significative

L’ISPIRATORE San Filippo Neri

Nel dare il nome Figlie dell’Oratorio, San Vincenzo Grossi collocò l’Istituto nel solco della spiritualità di San Filippo Neri, spiritualità fondata nella semplicità, nell’umiltà e nella gioia, animata dall’amore di Dio in Cristo e nell’abbandono alla sua divina volontà. Filippo Neri nacque a Firenze il 21 luglio 1515, da ser Francesco Neri, notaio, e Lucrezia da Mosciano. Nell’infanzia maturò un carattere vivace e allegro, che gli valse il soprannome di “Pippo buono”. Ricevette verosimilmente la prima istruzione dal padre, mentre alimentò la propria formazione religiosa dai Domenicani del convento di San Marco. Verso i diciotto anni fu avviato dal padre alla professione di commerciante presso un parente a San Germano (oggi Cassino), ma non rimase lì per molto. Nel 1534 si fece pellegrino e raggiunse Roma, ospite del capo della dogana, Galeotto Caccia, dei cui figli divenne precettore.

Teso tra un’intensa vita contemplativa e un’attività caritativa ugualmente forte, maturò lentamente la vocazione al sacerdozio: fu ordinato quindi sacerdote il 23 maggio 1551, a 36 anni. Entrato nella comunità di sacerdoti che risiedevano nella chiesa di San Girolamo della Carità, nel centro di Roma, si dedicò in maniera particolare al ministero della confessione. Con alcuni dei suoi penitenti, padre Filippo iniziò a trovarsi periodicamente, prima nella sua camera, poi in un locale più ampio, per incontri che avevano come scopo la lettura delle Scritture e la frequenza ai Sacramenti. Alcuni dei suoi discepoli, come Cesare Baronio, compresero poi di essere chiamati al ministero sacerdotale. Così sorse la Congregazione dell’Oratorio, composta da preti e laici, legati gli uni agli altri da una forte amicizia spirituale. I preti dell’Oratorio, detti in seguito anche Filippini, andarono a vivere presso la chiesa di Santa Maria in Vallicella, che fu loro affidata da papa Gregorio XIII e ricostruita negli anni successivi. Nell’incontro con ogni sorta di persone, padre Filippo mirava a ricondurre le anime
a Dio mostrando loro che era possibile seguirlo in semplicità e letizia di cuore. Morì all’alba del 26 maggio 1595, a ottant’anni. È stato canonizzato il 13 marzo 1622 da papa Gregorio XV. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma.

IL SEME FECONDO Vittoria Squintani

Tra le ragazze che ricorrevano alla direzione spirituale di don Vincenzo Grossi spicca Vittoria Squintani, nata a Pizzighettone il 22 luglio 1847, che lui conobbe quand’era ancora parroco a Regona.

Mentre lui si rendeva sempre più conto delle fragili situazioni in cui si trovavano i giovani delle campagne, iniziò a comprendere, allo stesso tempo, le miserie cui andavano incontro i suoi confratelli nel sacerdozio.

Vittoria morì il 9 aprile 1877 a poco meno di trent’anni, ma aveva vissuto impegnandosi in parrocchia a favore della gioventù e offrendo la sua vita per la Chiesa e per i sacerdoti. Don Vincenzo ne rimase profondamente colpito, trovando per mezzo di lei il modo per concretizzare l’intuizione che aveva formulato.

«Vittoria Squintani, sarebbe stata, come mi disse il nostro Fondatore, una sua prima cooperatrice nell’effettuare il disegno di fondazione dell’Istituto nostro, se il Signore non l’avesse chiamata a sé; di lei si sa, con certezza, che si offrì Vittima al Signore e per la Chiesa e per i Sacerdoti e solo dopo un anno, il Signore accettò il suo sacrificio, chiamandola a sé ancora giovane, primo seme fecondo del nascituro Istituto»  (dalle lettere circolari di madre Ledovina Scaglioni)

LA PRIMA PIETRA Suor Maria Caccialanza

Maria Caccialanza è nata a Gera di Pizzighettone (CR) il 21 settembre 1856 da un’umile famiglia di contadini, povera di mezzi, ma ricca di fede nel Signore e nella speranza annunciata dal suo Vangelo.

La piccola Maria viene battezzata lo stesso giorno della nascita. Trascorre l’infanzia secondo le consuetudini del tempo. Perde il padre in tenera età e questo porta nuove difficoltà alla famiglia, già provata dalle fatiche del lavoro agricolo e dalle ristrettezze economiche.

Maria manifesta ben presto un carattere docile e disponibile, insieme a una salute piuttosto cagionevole. Comprende le necessità della famiglia e ben presto viene avviata a dare il proprio aiuto nella casa e per quei servizi che possono portare sollievo alle tante necessità. Tutto ciò, però, le impedisce di andare a scuola e di apprendere adeguatamente a leggere e a scrivere. Solo in età adulta, con tanta forza di volontà, riuscirà a raggiungere un minimo di autonomia in queste abilità, mezzi tanto necessari per la sua missione di prima “sorella maggiore” dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio.

Insieme agli esempi familiari, la catechesi e l’ascolto della Parola di Dio riscaldano il cuore di Maria e facilitano l’azione della Grazia, che fa desiderare grandi cose in quella ragazzina, apparentemente gracile, ma interiormente forte.

Durante l’infanzia riceve la Prima Comunione e la Cresima e per lei sono veramente incontri con il Signore della vita e con il suo Spirito di amore e di rinnovamento.

La ricerca di Maria verso una maggiore fedeltà alla sua vocazione di Figlia di Dio viene dall’incontro con un giovane e zelante sacerdote: Don Vincenzo Grossi.

Don Vincenzo, abile direttore spirituale, intuisce in Maria la presenza del buon terreno nel quale il seme della Parola può germogliare e in lei una possibilità di concretizzazione del progetto che da tempo è per lui, allo stesso tempo, un sogno ed una esigenza della volontà di Dio.

Maria lascia la famiglia, emette i voti nelle mani di Don Vincenzo ed entra a far parte del primissimo gruppo di Figlie dell’Oratorio. Maria opera come collaboratrice parrocchiale e come maestra di lavoro in alcuni centri del cremonese, a Pizzighettone, a Regona, a Ponteterra.

Nella semplicità del quotidiano, nell’accettazione costante dei propri limiti, malgrado gli ostacoli della timidezza e del senso di inadeguatezza, Maria manifesta ben presto doti non comuni di carità attiva, apostolato, mitezza, spirito di preghiera e a lei, senza esitazione, Don Vincenzo affida la guida delle prime, piccole comunità.

Con la saggezza dei semplici che si affidano a Dio, Maria fa dono di sé e lascia alle prime Figlie dell’Oratorio il tesoro di esempi evangelici e di perle di autentica sapienza.

Il suo è un esempio di fedeltà e di amore alla vocazione ricevuta; ama ripetere: “Per amore della mia vocazione, andrei in capo al mondo camminando su carboni accesi” e quando le prove sono più forti: “La vocazione mi costa sino all’ultima stilla di sangue”.

Sopraffatta da una grave malattia, Maria termina la sua esistenza terrena il 5 settembre 1900. L’amore per la Chiesa, per la gioventù, per il proprio Istituto l’ha sorretta fino alla fine e l’ha educata ad unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo, rendendo la sua vita e la sua morte un’offerta al Padre, una manifestazione di risurrezione pur nella fatica del dolore.

Il 20 giugno 1901 uno dei grandi desideri di Maria Caccialanza si compie: il Vescovo di Cremona Geremia Bonomelli approva le Regole dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio e raccomanda la nuova istituzione ai parroci.

Madre Ledovina Scaglioni, superiora generale dell’Istituto, che ha goduto della vicinanza e dell’opera formativa di Maria Caccialanza, così la ricorda:

Fu anima grande in corpo esile, sempre uguale a sé stessa, sempre col sorriso sul labbro, malgrado le sofferenze fisiche e le frequenti pene di spirito. Sua dote caratteristica ed eminente era lo spirito di sacrificio che la profonda sua umiltà non riusciva, suo malgrado, a nascondere, perché il Signore volle che fosse di esempio e di edificazione alle sorelle delle diverse case. Offertasi intimamente a Dio per il bene delle anime, se sapeva che qualcuna fosse in pericolo di perire, pur di portare l’aiuto e il conforto di una parola dolce e persuasiva, intraprendeva talvolta lunghi viaggi a piedi, sprovvista di denaro o altro, perché le ristrettezze in cui versava allora l’Istituto, non le permettevano mezzi più comodi. Ma l’offerta di sé stessa a Dio era principalmente per le anime sacerdotali.

Maria Caccialanza è ricordata dalle Figlie dell’Oratorio come esempio di accoglienza e traduzione in vita del carisma delle origini; è il seme fecondo che ha permesso all’Istituto di radicarsi nel terreno della Chiesa e di portare frutto.

LA CONTINUATRICE Madre Ledovina Scaglioni

Ledovina Maria Scaglioni nasce a Ponteterra il 2 luglio 1875, in una famiglia umile, dove riceve una educazione robusta e connotata dalla fede cristiana.

Ledovina manifesta una vivace intelligenza e una maturità non comuni per la sua età. Frequenta le scuole elementari e successivamente una scuola tecnica a Casalmaggiore; intanto aiuta nei lavori domestici e il padre nel lavoro dei campi.

Durante la giovinezza partecipa alla vita parrocchiale, ha occasione di incontrare Maria Caccialanza, con la quale instaurerà un rapporto profondo e confidenziale, e la robusta tempra sacerdotale di don Vincenzo Grossi.

La direzione spirituale di Don Vincenzo la orienta verso la vita di donazione a Dio e di dedizione al prossimo. Don Vincenzo intuisce che Ledovina ha le qualità per entrare a far parte di quel gruppo di consacrate che egli invia nelle parrocchie per fare un po’ di bene fra la gioventù. La giovane si rende disponibile e il 13 settembre 1894 lascia la famiglia per unirsi alle prime Figlie dell’Oratorio.

Don Vincenzo avvia Ledovina e altre compagne al conseguimento della maturità magistrale, convinto della necessità di offrire anche ai più poveri la possibilità di una scuola gratuita, fornita di personale altamente qualificato.

Intanto vanno evolvendosi le vicende che riguardano le Figlie dell’Oratorio. Alla morte di Maria Caccialanza, e una volta ottenuta l’approvazione delle Costituzioni, si crea la necessità di dare all’insieme delle piccole comunità un carattere più istituzionale e di nominare una Superiora generale che, coadiuvata da un Consiglio, possa esercitare il servizio dell’autorità.

Le rappresentanti delle varie comunità, animate dalla parola sapiente del Fondatore che invita a prendersi maggiori responsabilità in quello che è “il loro Istituto”, orientano la loro scelta su Ledovina, presente, ma non direttamente partecipe ai lavori. É infatti impegnata in cucina, quando le giunge la notizia della sua elezione.

Rimane Superiora generale dell’Istituto fino alla sua morte, avvenuta il 13 maggio 1961.

In tanti anni di governo, Madre Ledovina segue l’espandersi dell’Istituto e affronta con intelligenza, soavità e fermezza le varie vicende. Guida saggiamente l’apertura di nuove case, cerca di salvaguardare l’autenticità del Carisma e lo spirito di unità, tutela lo spirito ecclesiale delle Figlie dell’Oratorio e incessantemente, con la parola e con l’esempio, indica quale deve essere la sorgente che alimenta una vita di donazione:

Stringiamoci con tutta la forza dell’animo al Cuor di Gesù, procuriamo che in Esso ci sia concessa eterna dimora e troveremo la vera tavola di salvezza: il porto sicuro”.

Nelle sorelle e nelle persone che per vari motivi l’hanno accostata, Madre Ledovina ha lasciato il ricordo di una donna autenticamente fedele alla propria vocazione, coraggiosa, buona, paziente nelle difficoltà e nelle sofferenze, capace di infondere coraggio e di spronare incessantemente al bene.

Alcuni appunti, trovati nel suo diario intimo, sintetizzano bene qual è stato il suo itinerario di vita:

“Vivere nell’assoluta dimenticanza di me per le Anime che Tu m’hai affidate è l’unica mia occupazione, o Gesù!  Abbi cura Tu dell’anima mia”.